Neotelevisione
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Autore: Guido Michelone
Nei primi anni Ottanta, quando il fenomeno era ancora limitato, Umberto Eco forniva una definizione esemplare di n.: "La caratteristica principale della Neo Tv è che essa sempre meno parla (come la paleo Tv faceva o fingeva di fare) del mondo esterno. Essa parla di se stessa e del contatto che sta stabilendo col proprio pubblico. Non importa cosa dica o di cosa parli (anche perché il pubblico col telecomando decide quando lasciarla parlare e quando passare su un altro canale). Essa, per sopravvivere a questo potere di commutazione, cerca di trattenere lo spettatore dicendogli: io sono qui, io sono io, e io sono te". Eco sosteneva inoltre che la massima notizia che la n. poteva fornire, parlando indifferentemente di missili o di Stanlio e Ollio, era di questo tipo: "Ti annuncio, caso mirabile, che tu mi stai vedendo; se non ci credi, prova, fai questo numero e chiamami, io ti risponderò. Dopo tanti dubbi, finalmente una cosa sicura: la neotelevisione c’è. È vera perché è sicuramente un’invenzione televisiva...".
La definizione di Eco va tuttavia integrata con alcuni presupposti sociologici e tecnico-linguistici. Innanzitutto la n. nasce in Italia, in quegli anni, quando alla pluralità deregolata delle prime emittenze libere subentra il duopolio Rai/Fininvest ossia la contrapposizione frontale e spesso polemica tra la Tv di stato generalista e quella commerciale all’americana. La concorrenza spietata per il primato dell’audience (accaparramento del pubblico grazie agli indici d’ascolto subentrati ai livelli di gradimento) tra i due modelli conduce a una forma di spettacolarizzazione dei programmi e dei palinsesti, e soprattutto degli stessi generi televisivi: alla classica tripartizione della paleotelevisione in informazione-cultura-spettacolo, la n. oppone un disimpegno ludico in direzione del puro intrattenimento e della totale ibridazione, dell’effimero e della superficialità.
La n., pervasiva e omologante al basso, risponde anche a esigenze quantitative: non solo aumenta il numero di reti nazionali (otto) e locali (circa trecento), ma al loro interno la programmazione copre l’arco dell’intera giornata, 24 ore su 24. A tale proposito il teorico inglese Raymond Williams (1994) parla di flusso televisivo, ossia di progressiva scomparsa di identità testuali (ossia trasmissioni riconoscibili o fruite dall’inizio alla fine) a favore di un accavallamento di immagini con le tecniche a incastro, a cornice o a scatole cinesi: tipico momento di flusso neotelevisivo è la formula contenitore dove per un intero pomeriggio, un presentatore in studio è l’unico legame tra ospiti, balletti, giochi, telepromozioni, film, serial, aggiornamenti sportivi, notiziari e pubblicità.
Il flusso d’altronde esiste anche in rapporto all’uso del telecomando che a sua volta permette allo spettatore di fare zapping, di saltare da un canale all’altro, costruendosi una sorta di testo ideale (in realtà frammentato e illogico) dai brandelli di altri programmi. Lo zap, nella n., è arrivato a condizionare il linguaggio e la struttura di programmi e palinsesti: i primi costruiti in maniera sempre più rapida e veloce in funzione dei break pubblicitari; i secondi parimenti condizionati dall’uso massiccio della stessa pubblicità che a sua volta è giunta a ribaltare la funzione degli spazi occupati. La n. è tale perché gli spot non servono più a riempire dei vuoti, bensì a determinare il contesto, ad ‘acquistare’ parti sempre più grandi di pubblico televisivo. In un’epoca, alle soglie del Terzo Millenio, in cui già si parlava abbondantemente di new media e di post-Tv, la n. oggi resta comunque il fenomeno più dilagante e incontrollato dei sistemi audiovisivi: un supermedium, in cui dalle comunicazioni di massa si è ormai passati alla massa di comunicazioni.
La definizione di Eco va tuttavia integrata con alcuni presupposti sociologici e tecnico-linguistici. Innanzitutto la n. nasce in Italia, in quegli anni, quando alla pluralità deregolata delle prime emittenze libere subentra il duopolio Rai/Fininvest ossia la contrapposizione frontale e spesso polemica tra la Tv di stato generalista e quella commerciale all’americana. La concorrenza spietata per il primato dell’audience (accaparramento del pubblico grazie agli indici d’ascolto subentrati ai livelli di gradimento) tra i due modelli conduce a una forma di spettacolarizzazione dei programmi e dei palinsesti, e soprattutto degli stessi generi televisivi: alla classica tripartizione della paleotelevisione in informazione-cultura-spettacolo, la n. oppone un disimpegno ludico in direzione del puro intrattenimento e della totale ibridazione, dell’effimero e della superficialità.
La n., pervasiva e omologante al basso, risponde anche a esigenze quantitative: non solo aumenta il numero di reti nazionali (otto) e locali (circa trecento), ma al loro interno la programmazione copre l’arco dell’intera giornata, 24 ore su 24. A tale proposito il teorico inglese Raymond Williams (1994) parla di flusso televisivo, ossia di progressiva scomparsa di identità testuali (ossia trasmissioni riconoscibili o fruite dall’inizio alla fine) a favore di un accavallamento di immagini con le tecniche a incastro, a cornice o a scatole cinesi: tipico momento di flusso neotelevisivo è la formula contenitore dove per un intero pomeriggio, un presentatore in studio è l’unico legame tra ospiti, balletti, giochi, telepromozioni, film, serial, aggiornamenti sportivi, notiziari e pubblicità.
Il flusso d’altronde esiste anche in rapporto all’uso del telecomando che a sua volta permette allo spettatore di fare zapping, di saltare da un canale all’altro, costruendosi una sorta di testo ideale (in realtà frammentato e illogico) dai brandelli di altri programmi. Lo zap, nella n., è arrivato a condizionare il linguaggio e la struttura di programmi e palinsesti: i primi costruiti in maniera sempre più rapida e veloce in funzione dei break pubblicitari; i secondi parimenti condizionati dall’uso massiccio della stessa pubblicità che a sua volta è giunta a ribaltare la funzione degli spazi occupati. La n. è tale perché gli spot non servono più a riempire dei vuoti, bensì a determinare il contesto, ad ‘acquistare’ parti sempre più grandi di pubblico televisivo. In un’epoca, alle soglie del Terzo Millenio, in cui già si parlava abbondantemente di new media e di post-Tv, la n. oggi resta comunque il fenomeno più dilagante e incontrollato dei sistemi audiovisivi: un supermedium, in cui dalle comunicazioni di massa si è ormai passati alla massa di comunicazioni.
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Video
Alcune sequenze di La vita in diretta, contenitore televisivo della neotelevisione degli ultimi anni
Bibliografia
- BRUNO Marcello Walter, Neotelevisione. Dalle comunicazioni di massa alla massa di comunicazioni, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 1994.
- CAPRETTINI Paolo G., La scatola parlante, Ed. Riuniti, Roma 1996.
- CAPRETTINI Paolo G., Totem e tivù, Marsilio, Venezia 1995.
- CASETTI Francesco, Patto, patto comunicativo e patto comunicativo nella neotelevisione in Id. (ed.), Tra me e te. Strategie di coinvolgimento dello spettatore nei programmi della neotelevisione, ERI, Torino 1988.
- CEBRIÁN Herreros Mariano, Modelos de televisión: generalista, temática y convergente con Internet, Paidós, Barcelona 2004.
- GRASSO Aldo, Al paese dei Berlusconi, Garzanti, Milano 1993.
- MENDUNI Enrico, Televisione. Tecnologia e forma culturale, Ed. Riuniti, Roma 2000.
- PARASCANDOLO Renato, La televisione oltre la televisione, Ed. Riuniti, Roma 2000.
- PLACIDO Beniamino, La televisione col cagnolino, Il Mulino, Bologna 1993.
- SCAGLIONI Massimo - SFARDINI Anna, Multi TV. L’esperienza televisiva nell’età della convergenza, Carocci, Roma 2008.
- WILLIAMS R., Television, Routledge, London 1994.
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Come citare questa voce
Michelone Guido , Neotelevisione, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (03/12/2024).
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